martedì 17 aprile 2012

MISTERO.FORZA.ENERGIA.CARISMA.CARNALITA'.CRUDEZZA.INQUIETUDINE.SPIRITUALITA'.ESIBIZIONISMO.TRASFORMAZIONE.

Nella sua lunga carriera Marina si è trovata difronte molteplici e diverse realtà socio-politiche a cui lei si è adattata o opposta, si è trasformata trasformando la sua arte. Sicuramente gli anni in cui ha iniziato a esprimere la sua arte, gli anni '70, erano tempi diversi da oggi, ma anche lei era allora diversa, e lo è ancora, diversa, da tutti gli artisti che ho fin qui conosciuto. Nell' evento al PAC di Milano iniziato il 21 marzo, il visitatore si trasforma per due ore e mezza in opera d'arte e allo stesso tempo artista. Diventa, infatti,oggettodell'azione di Marina, ma anche soggettoautore della performance. I visitatori devono rinunciare alla tecnologia e alla connessione continua e frenetica di cellulari e di social network, ma soprattutto rinunciare alla propria identità, perduta per il camice biancoche cela le forme. Scopo della sua performance: attivare ilruolo passivo dello spettatore, coinvolgerlo, lo fa vivere staticamente seduto, sdraiato e in piedi, sempre isolato da cuffie insonorizzate dall'altro pubblico, quello che rimanesolo osservatore.Materiali naturali, quali quarzo, ametista, tormalina, legno e magneti costituiscono un percorso fisico e mentale che trasforma gli spazi del PAC in un’esperienza fatta di buio e luce, assenza e presenza, percezioni spazio-temporali alterate. Un percorso dove le persone potranno espandere i propri sensi, osservare, imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi.
The Abramovic method nasce da una riflessione che Marina ha sviluppato partendo dalle sue ultime tre performance: The House With the Ocean View (2002), Seven Easy Pieces (2005) e The Artist is Present (2010), esperienze che hanno segnato profondamente il suo modo di percepire il proprio lavoro in rapporto al pubblico. Il pubblico gioca un ruolo molto importante, nella performance, direi che pubblico e performer sono più che complementari, il loro coinvolgimento costituisce il completamento dell’opera, permettendo loro di vivere un’esperienza personale con la performance stessa. Per enfatizzare il ruolo ambivalente di osservatore e osservato, di attore e spettatore, Marina ha scelto di mettere alla prova il pubblico anche nell’atto apparentemente semplice dell’osservazione distante: una serie di telescopi permettono ai visitatori di osservare dal punto di vista macroscopico e microscopico coloro i quali hanno scelto di cimentarsi con le installazioni interattive. Questo metodo è nato dalla consapevolezza che l’atto performativo è in grado di operare una trasformazione profonda in chi lo produce, ma anche nel pubblico che lo osserva. Ogni volontario deve “consegnare il proprio tempo” (e quindi orologi, telefoni, smartphone…) a Marina in cambio di un attestato a fine trattamento. In un’epoca in cui il tempo è un bene davvero prezioso, ma altrettanto raro, Marina Abramovic chiede allo spettatore/attore di fermarsi e fare esperienza del “qui e ora”, di ciò che prima di tutto lo riguarda: se stesso e il modo di relazionarsi con ciò che lo circonda.


Nel resto della mostra, una selezione di opere del passato, che ne condividono gli stessi principi, consentono ai visitatori ad approfondire il “Metodo Abramovic”: Dragon Head, Nude with Skeleton,Nightsea Crossing Conjuction in coppia con Ulay fino al penultimo The Artist is Present, la performance al MoMA che ha monopolizzato l’attenzione dell’artworld newyorchese per tre mesi, rendendo l’arte performativa pop nel senso migliore del termine, un incontro/scontro tra l’artista e la massa. Nella sue passate performance, che hanno inizio negli anni '70, l'artista serba non ha risparmiato il proprio corpo per riuscire a toccare le menti altrui:s’è spogliata, s’è autoflagellata, s’è fatta puntare una freccia al cuore; ha spolpato con le proprie mani quintali di ossa bovine per la denunciapiù cruda della guerra nella ex Jugoslavia. Ha usato il suo corpo.Un corpo ormai testimone della storia. Un corpo che si dona come scambio simbolico e psicofisico. Un corpo che attiva un rapporto empatico di energia con gli altri corpi per esistere. Un corpo che col tempo ha assunto una dimensione sempre più meditativa verso la realtà contemporanea. Un corpo che ha consapevolmente trasformato la propria esperienza personale in un concetto di valenza universale. Un corpo che appartiene a un’artista complessa, irriducibile a ogni semplicistica interpretazione. Senza alcun dubbio il rapporto tra arte e vita è un elemento fondante e basilare del suo lavoro, come più volte evidenziato dalla critica. Fin da giovane lei riusciva sempre a coinvolgere la gente, provocare un giudizio, non lasciando mai nessuno indifferente per la sua capacità comunicativa e mediatica impressionante. Già gli studenti suoi compagni seguivano le sue orme perché la trovavano coraggiosa e controriformista. Che si trattasse di discorsi attorno al ruolo dell’artista (come in Art must be beautiful o nella serie Rythm), di discorsi sociopolitici (si veda Balkan Epic) oppure relativi alle dinamiche interpersonali e sociali scandagliate nelle performance insieme al compagno Ulay, Marina è sempre stata capace di mettere il proprio corpo (e i suoi limiti psicofisici) al servizio di un’idea radicale, spesso perturbante e poetica insieme.






Questa artista mi ha lasciato inizialmente sconcertata. Quello che si può vedere dalle fotografie o dai video sono la sua resistenza, la sofferenza, la fatica e il pericolo, i limiti fisici e mentali ai quali ha sottoposto la sua esistenza. Infatti non sono d'accordo con molte delle sue performance perché credo siano troppo spinte ma accolgo il suo pensiero e la sua ricerca d'arte come ragione di vita e non come bellezza. Per Marina Abramovic nulla può essere più vero di quanto si dice degli artisti veri: che fanno di vita e arte la stessa cosa. Mentre giravo per la mostra ho avuto modo di riflettere sulla mia, anche se piccola, arte e ho capito che bisogna partire da cose piccole, cose che a volte possono essere insignificanti ma che grazie all'osservazione e ad una prospettiva diversa dal normale possono assumere un valore intenso e profondo, se difese con i giusti mezzi. Soffermandomi davanti alle persone che stavano facendo la performance, ho sentito il bisogno di chiudere gli occhi e mettermi in ascolto di quello che mi circondava e ho percepito una forte energia, un po' come quella che ho sentito durante il percorso “Dialogo nel buio”, che mi ha fatto sentire viva e ha accresciuto la mia sete di arte!
Per concludere, vorrei dedicarle una canzone che mi è venuta in mente mentre aggiungevo l'ultima immagine(dove lei urla contro il suo compagno Ulay)...è come se lei gli urlasse...

GIULIA COEREZZA

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